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"Gualberto Alvino si pone da capo il problema di costruire la lingua del suo racconto; fare lo sforzo mimetico d'inventare la lingua di qualcuno che non sia semplicemente un escluso, un emarginato, ma anche un 'disturbato', uno che non ci sta con la testa, in altre parole un pazzo, anzi una pazza, che però non sta rinchiusa in manicomio, perché Basaglia l'ha liberata, e lei, non avendo né casa né famiglia, vive per strada." (dal saggio introduttivo di Dino Villatico)